CANZONI SENZA RITORNELLO: STRANGE DAYS E ALTRI GRANDI BRANI

 


La traccia che dà il nome al secondo album dei Doors e ne apre gli affascinanti e misteriosi percorsi viene registrata dal gruppo senza un vero e proprio ritornello. Questa circostanza, sebbene non unica, è comunque rara nel 1967. Fino a quel momento, e ancora per qualche anno, la maggior parte dei brani pubblicati erano infatti organizzati attorno al binomio strofa-ritornello. L’inserimento di brevi parti create appositamente per variare questo schema (chiamate bridge o middle eight) non è ancora sufficiente a scalfire questa struttura, né lo sono le sempre più frequenti digressioni strumentali inserite da diverse band a partire dal 1966.


Nel quadro di questa consolidata costruzione sonora, “Strange Days” rivela una rilevante originalità, dispiegata attraverso il poetico fluire di un rock psichedelico capace di ammaliare e inquietare allo stesso tempo.


Ogni strofa del brano si conclude infatti con una alterazione della linea melodica (ascolto al min. 0.47, al min. 1.49 e al min. 2.50), senza però distaccarsene in maniera nitida o sostanziale. Il cambiamento è percettibile, tuttavia avviene senza modificare ritmo e melodia della strofa stessa. Questa parte assomiglia molto più alla fine della stanza principale piuttosto che ad un ritornello ben definito.


L’eliminazione del ritornello non incide negativamente sulla qualità della canzone, esaltandone al contrario la ipnotica continuità e concentrando l’attenzione sull’ispirato dialogo tra voce e strumenti.


Come ricordato sopra, questa caratteristica compare anche in altri pezzi del periodo, i quali come “Strange Days” rappresentano eccezioni rispetto alla netta distinzione tra strofa e ritornello. Tra essi prendiamo come esempio “I’m Waiting For The Man” dei Velvet Underground, contenuta nel loro primo LP, il quale è uscito nel marzo 1967, vale a dire pochi mesi prima del disco dei Doors.


In questo capolavoro di innovazione e autenticità espressiva, scritto da Lou Reed tra il 1965 e l’inizio del ’66, si ripete quanto già affermato riguardo “Strange Days”.


Una strofa che termina con una variazione della melodia in corso e, dunque, senza un vero e proprio ritornello. Il rock ruvido e martellante muta solo leggermente la sua inflessione aspra e beffarda increspando per pochi secondi l’andamento generale dell’arrangiamento (ascolto al min. 0.31, 1.05, 1.39, 2.48 e 3.26).


Fermandosi nello stesso frangente temporale, in questo caso il dicembre 1967, citiamo anche “John Wesley Harding”, la traccia che conferisce il titolo all’omonimo album di Bob Dylan. Anche in questo caso troviamo la linea melodica della canzone quasi completamente intatta con il susseguirsi delle strofe. Il folk-rock semplice, evocativo ed asciutto della composizione di Dylan narra la storia del protagonista in brevi episodi uguali tra loro, i quali non sono mai interrotti da ritornelli.


Tornando ai Doors di “Strange Days”, la modalità compositiva che abbiamo messo in luce, anche attraverso gli esempi, va considerata ancora più audace se pensiamo al momento in cui la canzone è stata concepita e scritta. Infatti, benché sia stata pubblicata nel secondo disco della band (uscito nel settembre 1967), essa era già presente nella scaletta delle esibizioni live dei primi mesi dell’anno precedente.


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