WHEN THE MUSIC’S OVER E L’ESTENSIONE DELLA DURATA NELLE CANZONI DEGLI ANNI ‘60

 



L’esplosione creativa sprigionata dalla nascita della musica moderna nel 1963 dà vita al rapidissimo sviluppo artistico di numerosi gruppi e cantautori. In quel fatidico anno, i Beatles e Bob Dylan definiscono la forma canzone e gli elementi strutturali attraverso i quali di lì a breve scaturiranno innumerevoli generi musicali diversi.


Alla metà dello stesso decennio, sperimentazioni sonore di ogni tipo iniziano a susseguirsi senza soluzione di continuità sia per quanto riguarda gli arrangiamenti e gli strumenti utilizzati che per la struttura delle canzoni stesse.


In quest’ultima categoria, tra gli elementi che vengono modificati troviamo la durata dei brani, la quale in alcuni casi inizia ad estendersi. I due minuti e mezzo circa che avevano caratterizzato la forma canzone fino ad allora divengono un punto di partenza per poi esplorare le nuove possibilità musicali garantite da un numero maggiore di minuti.


Ciò avviene solamente all’interno di specifici album, essendo invece i singoli ancora vincolati da forti pressioni commerciali e dalla fisica impossibilità di registrare composizioni lunghe sui vinili a quarantacinque giri.


Il passaggio a brani più estesi arriverà ad essere comune nella seconda metà degli anni ’60 in Inghilterra e negli Stati Uniti, con gli stessi Doors che inseriscono “The End” (11.41 minuti) nel loro disco di esordio: “The Doors” del gennaio 1967.


Nel settembre dello stesso anno compare “Strange Days”, il secondo LP della band che si chiude con “When The Music’s Over” (11.00 minuti).


Anche altri gruppi, dal ’67 in poi, seguono questa tendenza, ma i primi segnali di un significativo allungamento delle canzoni si manifestano inizialmente già nel 1964 con “The House Of The Rising Sun” nella versione degli Animals (4.29 minuti). L’anno successivo è Bob Dylan con “Like A Rolling Stone” (6.13 minuti) a compiere un passo in più.


Tuttavia, lo spartiacque dopo il quale vengono a cadere definitivamente i confini precedentemente imposti alla canzone moderna è il 1966.


In questo anno cruciale per l’evoluzione della musica, esistono in particolare due esempi di come il desiderio di creare qualcosa di mai sentito prima prende le sembianze di brani dalla notevole lunghezza.


Il primo in ordine cronologico è “Goin’ Home” dei Rolling Stones (11.18 minuti), contenuta nell’LP “Aftermath” dell’aprile ‘66.


Questo Rhythm and Blues scritto da Mick Jagger e Keith Richards si distende per più di undici minuti, guidato da tre elementi principali: la chitarra elettrica distorta dall’effetto tremolo di Keith Richards, l’armonica suonata da Brian Jones e la voce rilassata di Mick Jagger.


Il secondo esempio, sempre proveniente dal 1966, ma questa volta in ottobre, è il brano “Up In Her Room” (14.46 minuti) dei Seeds, pubblicato nell’album “A Web Of Sound”. Qui assistiamo ad un perfetto esempio di Garage Rock, sottogenere del Rock e nicchia musicale tipica della metà degli anni ’60.


Il brano, più incalzante del precedente, è dominato da due chitarre elettriche. Una è trasformata dall’effetto fuzz in una aspra corrente sonora che dilaga con note taglienti; l’altra ripete il riff principale con un suono più arrotondato, il quale interviene in maniera più mirata e circoscritta.


Da qui in poi, si moltiplicano gli esempi di canzoni che vanno oltre il tempo canonicamente accettato dei due o tre minuti. Con esse aumenta anche il numero di band inclini ad estendere il formato dei pezzi che scrivevano e registravano.


“When The Music’s Over” giunge proprio in questo momento, l’estate ’67, aggiungendo alla sua ragguardevole lunghezza (11.00 minuti) vari cambiamenti di atmosfera, ritmo e melodie.


Una novità, quest’ultima, che qualche anno dopo sarà integrata come tratto distintivo dal Progressive Rock e da altre derivazioni musicali del Rock stesso.


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