GLI OCCHI NELLA MUSICA DEL 1967: “MY EYES HAVE SEEN YOU” E ALTRI ESEMPI

 


Da sempre gli occhi sono usati all’interno dei testi di canzoni di ogni tipo. Essendo una parte del corpo molto espressiva, essi si sono sempre prestati a trasmettere, tramite metafore, immagini e sentimenti in maniera diretta ed immediata.

Spesso la loro funzione nei versi di un brano è quella di indicare lo stato d’animo di una persona nei confronti di un’altra o di una situazione che sta vivendo. Non è raro che gli occhi svolgano il ruolo di rappresentare in maniera poetica la persona stessa.

Questo è il caso di “My Eyes Have Seen You”, la traccia numero otto del secondo album dei Doors: “Strange Days”, pubblicato nel settembre 1967.

Come evidenziato nel titolo, gli occhi sono un espediente verbale per significare “Io”. La frase che dà il nome al brano viene infatti interpretata dall’ascoltatore come “Io ti ho vista”, conferendo quindi agli occhi il compito di rendere più evocativa ed affascinante una frase altrimenti molto semplice.

L’autore di questo pezzo è Jim Morrison, il quale trasformava le sue poesie in musica con l’aiuto degli altri membri del gruppo californiano.

Egli riusciva, come in questo caso, a richiamare con estrema efficacia nella mente degli ascoltatori immagini coinvolgenti e misteriose.

La sua poesia, che trovava la sua massima espressione proprio nei testi delle canzoni dei Doors, viveva e palpitava di figure retoriche e metafore.

In “My Eyes Have Seen You”, attraverso la metafora degli occhi emerge la forte carica passionale insita nello sguardo lanciato verso la ragazza destinataria del suo desiderio fisico.

Morrison non è stato però il solo a utilizzare la metafora degli occhi nel testo di una canzone. Rimanendo nel 1967, vogliamo citare altri due esempi dati da altrettante canzoni.

La prima è “I’llBe Your Mirror” dei Velvet Underground, comparsa sul loro primo LP “The Velvet Underground and Nico” (pubblicato nel marzo ’67). Nelle parole di questo bellissimo brano troviamo il verso “Lascia che io sia i tuoi occhi”.

Senza addentrarci nel significato complessivo del testo, possiamo comunque notare come in questo caso gli occhi siano usati come metafora dell’offerta di aiuto verso chi in quel momento è in una situazione di difficoltà.

“I’ll Be Your Mirror” è cantata dalla voce sensuale, profonda e solenne di Nico, qui particolarmente evocativa nonché valorizzata dallo scarno arrangiamento e dal testo ideati da Lou Reed.

La composizione è un affascinante Folk-Rock scritto da Lou Reed per dare spazio a Nico all’interno dei “Velvet Underground”: un brano che può essere definito gioiello della scena musicale underground americana del 1967 e oltre.

La seconda composizione dove gli occhi sono utilizzati per indicare la persona che sta parlando è “Can’t Take My Eyes Off You” di Frankie Valli (pubblicata come singolo nell’aprile ’67). Membro dei Four Seasons, Valli aveva da poco avviato una carriera solista parallela al gruppo.

Siamo qui nell’ambito del Pop e già al primo ascolto è evidente come la leggerezza dell’arrangiamento e della linea vocale siano in linea con lo scopo prettamente commerciale del disco (dopo 54 anni è ancora molto famosa).

Anche Valli, come Morrison, usa gli occhi come figura retorica per intendere la persona. Quindi “Non riesco a smettere di guardarti”, nel titolo diventa “Non riesco a toglierti gli occhi di dosso” per ottenere un effetto più immediato e di impatto sull’ascoltatore.

Gli occhi, quindi, come metafora e come strumento con il quale parlare al pubblico in maniera più diretta, seducente e poetica.

Jim Morrison, insieme ad altri artisti, si serviva di metafore che utilizzavano la vista nelle proprie composizioni, e della parola “Occhi” in particolare, per superare la sfera materiale e addentrarsi in quella dei sentimenti.

Si tratta di una pratica poetica che per il frontman dei Doors inizia già nel 1965, anno nel quale compone “My Eyes Have Seen You”.

Essa contribuirà ad arricchire i suoi indimenticabili testi con immagini suggestive, penetranti e misteriosamente affascinanti.


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