THE DOORS’ “PEOPLE ARE STRANGE” E IL DISTACCO DALLA SOCIETÀ

 

Durante gli anni ’50 e i primi anni ’60 del ‘900, la musica Pop e il Rock’n’Roll erano i due generi musicali maggiormente ascoltati in America ed Inghilterra. In quel periodo storico essi erano i generi che svolgevano un ruolo di intrattenimento collettivo.

Essi funzionavano da strumento di aggregazione per i giovani e di celebrazione della socialità in generale. Anche la dimensione personale era toccata da questa musica. Infatti, essa, come in tutte le epoche, accompagnava i momenti di gioia e di malinconia dei singoli individui.

I temi trattati nei testi a cavallo tra questi due decenni riguardavano prevalentemente i momenti di dolore personale indotti da delusioni amorose o prendevano in considerazione la felicità suscitata dalle relazioni sentimentali.

Una serie di artisti muta questo quadro dal 1963 in poi, quando ai due generi sopra citati si aggiungono due nuove forme musicali che trovano ampio spazio tra il pubblico. Si tratta del cantautorato derivante dal Folk, attraverso la sua interpretazione moderna proposta da Bob Dylan e, contemporaneamente, il Pop-Rock dei Beatles.

Da qui in poi parliamo convenzionalmente di musica moderna (o contemporanea), all’interno della quale numerosi artisti e generi diversi fioriscono nel corso degli anni ’60.

Quest’ultima evoluzione musicale porta con sé anche una maggiore complessità dei testi che accompagnano le canzoni, i quali iniziano a prendere in esame anche tematiche sociali più profonde.

È il caso di “People Are Strange”, contenuta nel secondo LP dei Doors: “Strange Days”, pubblicato nel settembre 1967. Qui il testo di Jim Morrison parla di come tutti noi, in alcuni momenti della nostra vita, percepiamo con disagio la presenza di altre persone.

Nelle parole che il poeta/cantante dei Doors scrive per il pezzo, questo argomento si allarga fino ad abbracciare con le sue amare riflessioni tutta la società. Ad emergere è soprattutto il difficile e talvolta conflittuale rapporto esistente tra il singolo e le persone che lo circondano.

Morrison non era il solo artista in quel momento storico-musicale ad addentrarsi in queste considerazioni e ad approfondire temi scomodi nelle sue composizioni.

Circa un anno prima anche un cantautore dalle forti inflessioni folk, ma proiettato nella modernità, registra un brano che affronta argomenti simili.

Si tratta di Fred Neil e di una delle sue canzoni più famose: “Everybody’s Talking”,pubblicata nel dicembre 1966 all’interno dell’album “Fred Neil”. Il brano avrà molto più successo nella versione di Nilsson del 1968, ma l’originale possiede quella nuda emozione che manca all’arrangiamento più commerciale che è divenuto celebre.

Questa traccia dalla strumentazione essenziale, ma ben gestita nella sua semplicità, presenta in primo piano un arioso arpeggio di chitarra acustica, accompagnato dal contrabbasso e dalla voce appassionata di Neil.

Oltre ad essere una bella canzone, essa sviluppa nel testo una serie di punti in comune con “People Are Strange”.

Il più rilevante è quello del sentirsi estranei rispetto alla folla di persone che compongono la società. Lo vediamo chiaramente nei versi di “Everybody’s Talking”: “Tutti mi parlano / Io non sento nemmeno una parola di ciò che dicono”.

Lo possiamo constatare anche nelle parole: “Le persone si fermano e mi guardano / Non riesco a vedere le loro facce / Solamente le ombre dei loro occhi”.

Le similitudini con l’alienazione dalla comunità espressa anche da Morrison in “People Are Strange” sono qui evidenti, sottolineando come fosse in atto una diffusione di testi riflessivi e di soggetti problematici nella musica degli anni ’60.

Di pari passo agli sviluppi e alle battute di arresto vissuti dalla musica moderna nei decenni successivi, il rapporto tra individuo e società verrà analizzato e approfondito da ulteriori punti di vista.

Essi trovano però le loro radici negli anni ’60 e, in particolare, nella penna di artisti di immensa caratura e importanza, come accade nel caso di Jim Morrison con “People Are Strange”.


Commenti