THE DOORS’ UNHAPPY GIRL E LA QUESTIONE SOCIALE FEMMINILE NEI '60s
Con il progredire
degli anni ’60 i gruppi e gli artisti inglesi ed americani cercano di
approfondire, nei testi delle loro canzoni, tematiche progressivamente più
profonde e complesse.
Tra esse
compaiono anche i sentimenti femminili, un argomento che stava in quel momento
acquisendo una importanza maggiore che in passato. Questa tematica stava
infatti superando faticosamente gli stereotipi e i luoghi comuni accumulati
dalla musica dei decenni precedenti.
Nell’analisi
delle problematiche che le donne stavano affrontando in quel momento storico,
compare anche la tristezza e la solitudine, slegata in questo caso dalle
delusioni sentimentali.
Infatti, diviene
importante per molti musicisti indagare le ragioni di una insoddisfazione
personale che vede la donna coinvolta da dinamiche diverse dall’amore non
corrisposto. Tra essi non faceva eccezione Jim Morrison, poeta e compositore
della maggior parte dei brani dei Doors.
All’interno dell’LP
“Strange Days”, pubblicato il 25 settembre 1967, troviamo a questo proposito la
traccia numero quattro: “Unhappy Girl”.
La canzone prende
in considerazione in maniera originale ed inaspettata la condizione di triste
rassegnazione vissuta da una ragazza. La giovane donna è prigioniera di uno
stile di vita che ne compromette le aspirazioni e la realizzazione personale.
La relativa
difficoltà insita nel veicolare questo contenuto poco convenzionale non trattiene
la band dal dare spazio all’insoddisfazione sperimentata della componente
femminile di una generazione in via di radicale cambiamento.
La musica è
pervasa da effetti di studio psichedelici, come la presenza di alcuni strumenti
registrati al contrario, che fanno da affascinante sfondo alle parole cantate
con sommessa passione da Morrison.
Il caso del brano
appena citato non è però l’unico nel quale sono espressi sentimenti di donne
che soffrono per le situazioni sociali dove sono in qualche modo imprigionate.
Citiamo altri due grandi brani degli anni ’60 dove sono analizzati in modi
nuovi e originali il malessere esistenziale femminile e le sue conseguenze.
Il primo esempio,
il quale anticipa “Unhappy Girl” di circa un anno, è la canzone dei Beatles “Eleanor Rigby” pubblicata nell’album “Revolver” dell’agosto 1966.
Qui la figura
femminile vive una vita di rimpianti e solitudine che la conducono ad una morte
altrettanto solitaria. Le stupende melodie della canzone sono accompagnate da un
arrangiamento sorprendentemente sperimentale, formato soltanto da otto archi.
Il secondo
esempio, sempre proveniente dal 1966, è dato da “Mother’s Little Helper”
dei Rolling Stones pubblicata sull’LP “Aftermath” nell’aprile di quell’anno. In
questo caso la donna protagonista del testo trascorre la propria esistenza nel
ruolo di casalinga.
Intanto le sue
aspirazioni vengono frustrate da questa condizione sociale nella quale pare
essere irrimediabilmente bloccata. Per rendere sopportabile la parte ad essa
assegnata dalla vita e dalla quale non appare in grado di liberarsi, essa
assume dosi sempre maggiori di psicofarmaci.
Dopo la metà
degli anni ’60, quindi, i musicisti più famosi e con un pubblico maggiore a
disposizione, intraprendono un percorso concettuale nuovo.
Quest’ultimo porterà
lentamente la donna ad essere considerata nella cultura popolare in tutte le
sue sfaccettature e non più come esclusivamente relegata ai testi che parlano più
o meno superficialmente di rapporti amorosi.
A questa
importante tendenza partecipano anche i Doors, che con le parole di “Unhappy
Girl” sondano l’universo femminile nel quadro della società a loro
contemporanea.
Il merito va
soprattutto al testo di Morrison, il quale in pochi, poetici versi getta uno
sguardo così penetrante sulle problematiche della donna degli anni ’60 da
essere ancora valido e utile quasi sessanta anni dopo.
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