“EASY RIDE” DEI DOORS: IL CABARET NEL 1968


Il brano “Easy Ride” dei Doors chiude il lato A del quarto album del gruppo: “The Soft Parade” (pubblicato nel luglio 1969, classificandosi al sesto posto negli Stati Uniti, ma non entrando nella classifica inglese).

Ritenuto da molti il loro peggior lavoro, questo LP risente di un calo nella coesione tra i musicisti, fino ad allora uno dei punti di forza della loro musica e del loro processo creativo.

“Easy Ride” sarà poi utilizzata anche come lato B del singolo “Tell All The People”, il quale, un mese prima dell’uscita del disco “The Soft Parade” che contiene entrambe le canzoni, raggiungerà solamente il numero 57 negli USA.

Nonostante sia associata a questo contesto discografico, “Easy Ride” era stata registrata un anno e quattro mesi prima, all’inizio del marzo 1968.

Infatti, nel corso delle sedute di studio che avevano dato vita all’album precedente (“Waiting For The Sun”), questa composizione attribuita a Morrison era già stata ultimata nella versione definitiva che possiamo sentire su “The Soft Parade”.

La sua esclusione da “Waiting For The Sun” è dovuta principalmente a due fattori.

Il primo è l’oggettiva debolezza del pezzo, il quale non risulta all’altezza degli splendidi brani fino ad allora prodotti dai Doors.

Il secondo motivo è la somiglianza, in quanto ad ispirazione e musicalità complessiva, con “We Could Be So Good Together”, la traccia numero 9 di “Waiting For The Sun”.

Proprio come “We Could Be So Good Together”, infatti, anche “Easy Ride” trae le sue sonorità dalla music hall di inizio ‘900.

Questo genere, chiamato anche vaudeville o cabaret, rappresentava la musica da intrattenimento popolare nella prima parte del secolo scorso.

La sua notorietà era strettamente legata agli spettacoli dal vivo che univano teatro, ballo, commedia e musica all’interno di locali pubblici serali e notturni negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Dal cabaret i Doors avevano già preso ispirazione per diverse canzoni, inserite negli LP precedenti: “Alabama Song” in “The Doors”; “People Are Strange” in “Strange Days” e, come indicato sopra, “We Could Be So Good Together” in “Waiting For The Sun”.

“Easy Ride” costituisce dunque il quarto caso in cui la band ha registrato un pezzo derivato musicalmente dal cabaret.

L’atmosfera che possiamo percepire in questa composizione è disimpegnata, chiaramente improntata alla leggerezza di spirito e ad una esecuzione senza pretese.

L’arrangiamento è il risultato di un continuo scambio di saporiti cliché cabarettistici tra organo elettrico e chitarra elettrica (Ray Manzarek e Robby Krieger).

La batteria e il basso elettrico (quest’ultimo suonato dal sessionman Doug Lubahn) tengono un ritmo rapido e incalzante, in linea con il contesto musicale nel quale in questo caso si muove la band.

L’interpretazione vocale di Morrison è sicuramente il punto forte di “Easy Ride”, particolarmente allusiva ed espressiva e usata in modo da affrancarsi rispetto al paradigma rock ad essa più familiare.

Va notato che il canto di Morrison è il fattore senza il quale il brano faticherebbe a rimanere interessante.

Inoltre, Morrison dimostra qui di sapere padroneggiare sfumature vocali disinvolte e distese, significativamente diverse dalla scura e profonda intensità che ne ha reso celebre la voce.

Il cantante è anche autore del testo. Le parole che possiamo sentire, sebbene a tratti volutamente criptiche, delineano una tensione verso il desiderio amoroso espressa attraverso il linguaggio poetico tipico di Jim Morrison.

Particolarmente ispirate, originali ed incisive sono le due metafore che accostano gli occhi della donna a pietre nere e levigate e il suo sorriso a vetro incandescente.

“Easy Ride” può essere considerata quindi un riempitivo, usato per completare il lato A del disco “The Soft Parade” dopo che il controverso concerto di Miami (3 marzo 1969) aveva ulteriormente allontanato tra loro i membri dei Doors.

Nonostante questa connotazione non proprio positiva, il brano rimane interessante soprattutto per la matrice musicale vaudeville che lo caratterizza.

Essa è resa fedelmente attraverso l’uso suggestivo di strumenti elettrici non appartenenti alla tradizione della music hall, coinvolgendo l’ascoltatore in un sognante, scorrevole e divertente intermezzo.

Tale origine cabarettistica è così presente, riconoscibile e ben dispiegata da definire con gusto un ambiente sonoro autenticamente vintage e piacevolmente ammiccante.


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