“ROADHOUSE BLUES” DEI DOORS: GENESI MUSICALE DI UN CLASSICO


Nel corso delle registrazioni del quarto LP dei Doors (“The Soft Parade”), svoltesi prevalentemente nella prima metà del 1969, il gruppo prova almeno tre brani cantati dal tastierista Ray Manzarek.

Tra essi spicca una canzone che, sebbene momentaneamente accantonata, diverrà una delle tracce più celebri all’interno della discografia della band californiana: “Roadhouse Blues”.

Il processo creativo che porta a questa prima versione parte quindi verosimilmente nella primavera ’69, imperniandosi sul famoso riff immediato e polveroso suonato dal chitarrista Robby Krieger.

Come già accennato, in questa versione iniziale “Roadhouse Blues” vede temporaneamente alla voce solista Manzarek (qui il link).

La voce del tastierista verrà sostituita ben presto da quella del cantante, Jim Morrison, il quale è anche responsabile dell’ispirazione musicale e concettuale che sta dietro questa avvincente canzone.

La linea vocale tracciata da Manzarek nella prima versione disponibile del brano rimarrà comunque sostanzialmente invariata negli sviluppi successivi che descriveremo.

Malgrado la demo cantata dal tastierista non raggiunga le vette espressive consentite solamente a Morrison, essa ha comunque il merito di regalarci un punto di vista inusuale su uno dei brani dei Doors più acclamati e ascoltati.

Possiamo notare come già in questo momento il pezzo fosse praticamente pronto sia in termini di arrangiamento che di esecuzione. Per di più Manzarek canta già il testo, quasi completo, concepito precedentemente da Morrison.

In questo caso, l’assenza di Jim Morrison alla voce non deve sorprendere eccessivamente. Infatti, nella prima parte del ’69 gli stava attraversando una fase di allontanamento dal resto della band.

Inoltre, le registrazioni di “The Soft Parade”, che fanno da sfondo alla creazione di “Roadhouse Blues”, furono uno dei periodi più tesi nel rapporto tra Morrison e gli altri tre componenti del quartetto californiano.

Completato l’LP “The Soft Parade”, senza aver però terminato una incisione definitiva della canzone, i Doors ne abbozzano una breve sezione pochi mesi dopo dal vivo (in due occasioni nel settembre ’69).

Nei concerti appena citati, un frammento di “Roadhouse Blues” è cantato all’interno delle digressioni improvvisate che venivano spesso inserite in altri brani; in uno di questi due casi si trattava di “Back Door Man”.

Ancora avanti di un paio di mesi, siamo quindi nel novembre ’69, e troviamo il gruppo impegnato nelle sessioni di registrazione del quinto lavoro: “Morrison Hotel”.

In quei giorni i Doors registrano la versione ufficiale di “Roadhouse Blues” (qui il link).

Questa volta verrà finalmente inserita fra le tracce di “Morrison Hotel”, che compare sul mercato nel febbraio 1970. In aggiunta, la traccia di cui stiamo parlando verrà anche scelta come lato B del singolo che ne viene estratto: “You Make Me Real”.

Uscito nel marzo 1970, quindi un mese dopo la pubblicazione dell’album, questo singolo avrà per altro modesto successo (50esimo in America e senza riscontro nella classifica inglese).

La versione ufficiale di “Roadhouse Blues” è appartenente al genere rock-blues, piuttosto diffuso in quel periodo.

Essa presenta importanti analogie con un altro brano della band: “Love Me Two Times” (contenuta nel magnifico LP “Strange Days” del settembre 1967).

Ritroviamo infatti in entrambe le canzoni diversi elementi comuni:

Il rock-blues come genere di appartenenza;

L’essere guidate e percorse da un riff capace di rimanere in mente pur non cedendo alle tendenze di mercato;

Ancora il riff iniziale della chitarra elettrica che apre da solo entrambi i brani per essere raggiunto dopo poche battute da basso e batteria;

Il ritmo prevalente della batteria basato sulla tecnica chiamata “shuffle”.

Pur non raggiungendo il fascino fosco, passionale e contaminato dalla psichedelia che anima “Love Me Two Times”, “Roadhouse Blues” ne rappresenta però una evoluzione in termini di struttura del brano.

Sminuita talvolta come “inno da pub”, “Roadhouse Blues” è in realtà più complessa e affascinante di quanto si creda.

La strofa contiene in sé la struttura completa di un blues classico (ascolto, ad esempio, dal min. 0.23 al min. 0.46), dalla quale consegue con naturalezza invidiabile il ritornello.

Quest’ultimo, caratterizzato anch’esso da una marcata influenza blues si somma al ritornello senza però appesantire la sequenza nel suo complesso, ma, anzi, determinandone l’efficacia musicale che possiede in maniera così evidente (ascolto, ad esempio, dal minuto 1.19 al minuto 1.36).

La sequenza strofa-ritornello di “Roadhouse Blues” risulta dunque molto coinvolgente proprio in virtù di questa particolarità.

Essa è composta da una canzone blues seguita da un ulteriore tema blues (la prima per la strofa e il secondo per il ritornello) che si succedono concentrando varietà e unità lungo l’arco di poco più di un minuto.

A quanto descritto si aggiunge anche la sezione centrale del brano (in gergo chiamata “middle eight”), che ha il compito di introdurre un elemento supplementare nella struttura della canzone allo scopo di arricchire e variare la forma strofa-ritornello.

Questa parte centrale occupa uno spazio significativo (ascolto dal min. 2.10 al min. 3.07) ed è a sua volta divisa in due parti.

La prima parte ci consegna una originale trovata di Morrison: al posto del testo egli si avventura nella sua personale, dissoluta e semplificata versione di una tecnica vocale chiamata “scat”.

Sviluppatasi nel genere di Jazz detto Swing alla fine degli anni ’20 del ‘900 e resa nota da Ella Fitzgerald durante gli anni ’30 e ‘40, questa modalità canora consiste nel sostituire al testo parole inventate e senza significato, spesso simulando il suono e l’andamento degli strumenti solisti.

La seconda parte della sezione centrale recupera invece il testo della canzone, modificando però la melodia, la quale viene temporaneamente trascinata sul terreno avventuroso del rock dalla voce profonda e graffiante di Morrison.

La canzone si chiude, infine, con il ritorno alla sequenza strofa-ritornello.

La costruzione di “Roadhouse Blues”, sebbene sia abbastanza inusuale, non intacca l’immediatezza generale che si percepisce chiaramente dal suo ascolto.

Ciò è dovuto alle indovinate melodie presenti nelle diverse sezioni, le qual trasformano questa complessità in un tutto estremamente armonioso e coinvolgente.

Come un gioco di prestigio, la molteplicità dei fattori musicali presenti viene così celata, esponendo al suo posto una coesione sonora e stilistica a presa istantanea sull’ascoltatore.

Sono da segnalare anche alcuni singoli elementi di particolare importanza per la canzone.

In primo luogo, citiamo la voce di Morrison, la cui estensione nello spazio è prolungata da un riverbero abbastanza pronunciato.

Questo effetto conferisce a tutto il pezzo l’atmosfera un po' vintage che il gruppo voleva evidentemente ottenere.

Tale intento è confermato anche dall’impiego del pianoforte modificato da piccoli oggetti di ferro (posti sulle corde o sui martelletti) da parte di Ray Manzarek (chiamato in inglese Tack Piano). Il suo suono ricorda quello di un vecchio pianoforte verticale che veniva usato nella prima metà del ‘900 in locali senza pretese.

Ad accompagnare la chitarra elettrica di Krieger, la quale esegue un assolo trascinante ed incisivo, è il basso elettrico.

Quest’ultimo strumento, quasi costantemente utilizzato per ripetere il riff stabilito all’inizio dalla chitarra, è suonato da Lonnie Mack, cantautore anch’esso dedicato al rock-blues e qui ingaggiato in qualità di sessionman.

L’armonica, che completa l’arrangiamento accrescendone la carica blues che lo contraddistingue, è suonata da John Sebastian (ex-Lovin’ Spoonful e amico della band).

“Roadhouse Blues” nella sua versione definitiva viene portata in concerto per la prima volta circa un mese prima della pubblicazione dell’LP “Morrison Hotel” che la contiene.

Nel gennaio 1970, infatti, i Doors suonano al Felt Forum di New York una serie di spettacoli aperti da questo classico del Rock-Blues tra le acclamazioni entusiaste del pubblico (qui il link al brano eseguito durante il secondo show della prima serata).

Chiudiamo con accenno al testo, sicuramente tra i più semplici e divertenti di Morrison.

In esso vengono raccontate alcune delle caratteristiche più trasgressive e licenziose dei roadhouse, chiudendo con una frase indirizzata al godersi la vita finché è possibile: “Il futuro è incerto e la fine è sempre vicina!”.

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