LA PROFONDA RELAZIONE TRA I DOORS E LA CITTA’ DI NEW YORK


New York ha avuto un ruolo centrale nella storia della musica moderna e contemporanea.

Fin dalle prime forme di registrazione, divenute disponibili con una qualità apprezzabile nel corso degli anni ’10 del ‘900, essa si è affermata come sfolgorante scenografia per molti generi musicali, gruppi e artisti.

Anche per i Doors questa caotica e stimolante città è stata molto rilevante: la relazione che ne è scaturita ha assunto i contorni assidui, attraenti e appassionati di un amore ininterrotto e intenso.

A partire dai primi eccitanti bagliori della loro carriera, nel 1966, fino al 1970, New York ha ripetutamente rappresentato per il quartetto un luogo nel quale compiere avventurosi passi artistici e allargare i propri orizzonti sonori sullo skyline della maggiore metropoli americana.

Sono molteplici i viaggi compiuti da Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger e John Densmore nella “grande mela” e nello stato del quale è capitale.

In questo articolo ci occuperemo solamente di quelli svolti nell’area urbana principale della città, tralasciando quindi le non poche trasferte svolte dalla band in municipalità collocate nei suoi immediati dintorni (come, ad esempio, il famigerato live di New Haven).

Tenendo conto di questo distinguo, possiamo contare dieci diverse occasioni (nell’arco temporale di tre anni e tre mesi), nelle quali i Doors hanno partecipato alla vita musicale di New York con concerti suonati da protagonisti.

Le visite dei Doors in questa città, agitata da aspre contraddizioni e suggestive consonanze, scandiscono l’evoluzione della formazione californiana lungo la seconda metà degli anni ’60, come episodi separati, ma connessi tra loro, di uno stesso racconto.

Vediamo, in ordine cronologico, il dipanarsi del rapporto tra i Doors e New York, un legame che scorre intimo sotto gli sguardi di una mondanità rumorosa e irrequieta.

 

24 ottobre - 27 novembre 1966

Il gruppo californiano incontra per la prima volta la metropoli nell’autunno 1966, vale a dire poco dopo la registrazione del primo incantevole disco (“The Doors”, inciso nell’agosto 1966).

I quattro, ancora sconosciuti al di fuori della California, vengono ingaggiati per quasi tutto il mese di novembre in un piccolo locale underground chiamato “Ondine”.

Questa prolungata immersione in un contesto artistico e umano piuttosto diverso da quello della costa ovest risulterà in una espansione del fulgido talento già dimostrato della band su vinile, ma ancora bisognoso di esprimersi al meglio dal vivo.

Il primo contatto con New York aiuta i Doors a rifinire il loro repertorio davanti ad un pubblico culturalmente differente da quello di Los Angeles, consentendo loro di vivere l’inestimabile esperienza data da numerose esibizioni sul palco in un ambiente stimolante e cosmopolita.

 

13 marzo – 2 aprile 1967

Il lancio sul mercato americano del primo album e del primo singolo della band, avvenuto per entrambi nel gennaio 1967, non sta portando i frutti sperati.

Viene così ripetuta, sia per fini promozionali che per mancanza di ingaggi più prestigiosi, la residenza all’“Ondine” di New York.

Un’altra ventina di giorni dedicati alla diffusione di una musica sempre più intellettuale e originale, capace di rapire i sensi dell’ascoltatore e di colpirne profondamente l’immaginazione.

La grande città che in quella primavera accoglie nei suoi affollati meandri questi ragazzi non può che osservare compiaciuta la genialità della band che emerge indomita tra quella infinita distesa di acciaio, cemento, luci abbaglianti e desideri convulsi.

Appena tornati da questa esperienza, i Doors iniziano a registrare a Los Angeles il loro secondo meraviglioso LP: “Strange Days”.

 

11 giugno – 1 luglio 1967

Siamo ormai a metà delle session che produrranno “Strange Days” e un singolo tratto dal disco precedente, “Light My Fire” (in versione abbreviata), sta scalando la classifica americana.

Le crescenti vendite che il brano sta ottenendo e la conseguente notorietà che ne deriva, ampliano le richieste di esibizioni dal vivo.

Viene quindi presa la decisione di interrompere le registrazioni di “Strange Days” per accettare altri venti giorni di concerti da tenersi in vari luoghi della costa est degli USA.

Tra essi vi sono il Village Theatre (nel ’68 diventerà il celebre Fillmore East) e il The Scene, entrambi rinomati ritrovi per gli appassionati di novità musicali a New York.

Dai vicoli underground della “grande mela”, tra le cui ombre si muoveva la musica dei Doors fino a qualche mese prima, ora il gruppo è passato a palcoscenici più conosciuti e a spettatori più numerosi.

Un salto di qualità che apre la fase migliore dell’espressività profusa dalla formazione californiana dal vivo e non solo.

 

12 agosto 1967

“Light My Fire” è da pochi giorni arrivata in vetta alla classifica statunitense (il 29 luglio). Il singolo, a questo punto famosissimo, ha trascinato con sé il quartetto in una serie di seguitissimi concerti, coincidenti con l’ultima fase delle registrazioni di “Strange Days”.

Ancora impegnati sulla costa est, i Doors suonano un solo show, molto apprezzato, in uno stadio del quartiere Queens di New York, raggiungendo così una ampia notorietà.

La band fa di questa città la compagna ideale di un brindisi musicale inebriante: nei calici che vengono alzati al sole di agosto luccica un successo più che meritato.

 

9 settembre 1967

“Strange Days” è ormai ultimato (sarà pubblicato il 25 settembre) e il gruppo torna al Village Theatre dove si era già esibito nella prima parte dell’estate.

Accolti con interesse dalla critica e con inquieta euforia dai ragazzi e dalle ragazze della città, i Doors hanno ormai sviluppato a pieno il loro cocktail allucinogeno composto da due entusiasmanti ingredienti: il rock e il teatro.

Essi servono questa elettrizzante bevanda a una New York pronta a ricambiarne il sorprendente sapore con le sue prospettive geometriche, sui cui angoli vivi si stagliano le innovazioni sonore distillate dalla provocante creatività dei quattro ragazzi californiani.

 

24 novembre 1967

Due e mesi e mezzo di lontananza sono molti per due innamorati e New York richiama i Doors a rinnovare un sentimento non solo ricambiato, ma generatore di nuove possibilità musicali.

La band padroneggia con sicurezza un suono ammaliante, inedito e rivoluzionario, che nei concerti di questo periodo viene ulteriormente impreziosito dalle eversive intemperanze di Morrison.

Sul palco di un College della città, viene confermata una attrazione fisica e spirituale che si era già consolidata nel corso del 1967.

La band e la città si stringono in un abbraccio sensuale e fecondo: da una parte il picco artistico di musicisti con pochi eguali, dall’altra le evoluzioni imprevedibili di un luogo che stava evolvendosi a grande velocità, trascinando con sé la parte della società americana più attenta alle avvisaglie del futuro.

 

22-23 marzo 1968

Nel 1968, il già citato Village Theatre cambia la sua denominazione in Fillmore East. Un nome leggendario che accoglie la band con l’atmosfera di poetica rivolta culturale tipica di questo periodo degli anni ’60.

Si tengono qui due memorabili live dei Doors che interpretano inquietudini e speranze di un’intera generazione, concentrandone l’esplosiva energia all’interno del perimetro di una città in costante e rapida trasformazione sociale.

L’ascesa in termini di popolarità che la formazione californiana stava intraprendendo negli Stati Uniti si condensa in questo tempio della musica in una performance certamente strepitosa, malgrado nessun audio, nemmeno amatoriale, sia disponibile.

Siamo forse al momento più significativo della relazione tra New York e i Doors, un momento in cui la sopraffina espressione musicale e teatrale della band incontra i tumulti, le angosce e l’entusiasmo di un’area urbana scalpitante di stimoli, conflitti e travolgente modernità.

 

2 agosto 1968

Mentre fin qui il fecondo scambio instaurato tra la città e l’arte del gruppo era stato il tratto saliente dei giorni trascorsi a New York, da questo concerto in avanti avviene un cambiamento radicale.

Il live tenuto nel Queens (Flushing Meadows), un sobborgo decentrato della vasta municipalità newyorkese, è infatti celebrativo della consistente fama raggiunta dai Doors (poco dopo che “Hello I Love You” era giunta al primo posto nella classifica dei singoli americana e “Waiting For The Sun” aveva seguito lo stesso percorso in quella degli album).

Da fremente luogo di formazione ancora tutto da esplorare e conquistare, i grattaceli della città divengono ora una imponente scenografia sulla quale imbastire uno show irripetibile davanti a molte migliaia di persone.

Questo storico live, di cui esistono immagini a dir poco eloquenti, celebra il picco di successo del gruppo in uno stadio gremito e turbolento.

Un evento che da questa metropoli si fa simbolo della trasgressione creativa propagata verso i giovani americani dalle inquietanti e magnifiche vibrazioni musicali dei Doors.

 

24 gennaio 1969

Cinque mesi dopo l’esibizione precedente, sono mutati molti elementi nella vita di questo complesso rock. Siamo al punto più critico nel rapporto personale tra Morrison e il resto della formazione.

Inoltre, l’affiorare di una serie di discutibili brani e arrangiamenti destinati all’album successivo (“The Soft Parade”) stanno aggravando il malessere artistico del cantante.

In questo quadro la band atterra a New York per uno show del tutto particolare: il maestoso cerchio formato dal Madison Square Garden.

Uno scenario per nulla amato da Morrison, il quale preferiva sale di medie dimensioni e un numero ridotto di pubblico, e che qui pone il frontman di fronte a 20.000 spettatori, per la gran parte situati a notevole distanza dal palco.

Nonostante l’indiscutibile fascino di questa performance, al Madison Square Garden si tiene una cerimonia senza più la magia tessuta nell’anno e mezzo appena trascorso dalle trame elettriche del quartetto.

Il sinuoso e abbacinante rituale sonoro messo in scena dalla band disperde parte della sua incisività nell’attraversare i vasti spazi che separano musicisti e pubblico in questa famosa struttura.

Questa volta New York, assordata dalla sfavillante moltitudine accorsa al concerto, non riesce a comunicare in profondità con la band, lasciando che la celebrità sostituisca la spontaneità, come un dialogo animato, ma superficiale, a volte sostituisce ciò che si vorrebbe realmente dire a una persona cara.

 

17-18 gennaio 1970

Esattamente un anno dopo l’ultimo contatto stabilito con la città, i Doors tornano per due acclamate serate al Felt Forum (unico live tra quelli suonati nella città di New York registrato in maniera appropriata).

I musicisti si divertono a suonare due concerti (prima e seconda serata) per ognuna delle due date, dilungandosi con evidente piacere e abbondante inventiva.

L’inizio del tour a sostegno dell’imminente pubblicazione dell’LP “Morrison Hotel” parte così da dove la stampa e i riflettori possono meglio illuminare il ritorno della band ad atmosfere meno elaborate.

Si tratta del dirompente e avvincente addio musicale alla città da parte del gruppo al completo, il cui coinvolgente paradigma sonoro dimostra di essere ancora accattivante per il vasto pubblico presente.

Un saluto a New York capace di lasciare dietro di sé un ricordo vivido e positivo della storia artistica e sentimentale intercorsa tra i Doors e questo frenetico agglomerato di palazzi, folle, mode e avanguardie.

 

Dopo Morrison

Chiudiamo questo percorso con una curiosità. Come è noto, dopo la tragica morte di Jim Morrison, avvenuta il 3 luglio 1971, la band continua per altri due anni come trio.

I due album pubblicati senza lo storico frontman sono accompagnati da altrettanti tour promozionali, i quali toccano anche New York: il 23 novembre 1971 (per promuovere l’LP “Other Voices”) e il 21 agosto 1972 (tour del disco “Full Circle”).

 

La relazione tra i Doors e la “grande mela” è stata, come abbiamo visto, intensa e frequente, con episodi di ragguardevole importanza sparsi, come diamanti scintillanti sullo scuro velluto, lungo tutto il percorso artistico di questo straordinario gruppo.

Con le sue aspre incoerenze, il suo pubblico assetato di sperimentazioni e il succedersi incalzante di novità che la caratterizza, questa città non poteva che attrarre con forza i quattro musicisti, facendo così da caleidoscopica cassa di risonanza per i diversi periodi della loro storia.

Grazie a mildequator.com per le date dei concerti.


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