“RIDERS ON THE STORM” DEI DOORS: UN VIAGGIO NELL’ASSOLO DI RAY MANZAREK
“Riders On The
Storm” è sicuramente una delle canzoni maggiormente conosciute dei Doors: un
ipnotico e cupo quadro sonoro nonché l’ultimo pezzo registrato in studio dalla
band prima della morte di Jim Morrison.
Incisa tra fine
del 1970 e l’inizio del 1971, la composizione si estende per più di sette
minuti e verrà utilizzata come affascinante chiusura dell’ultimo lavoro del
gruppo con la formazione al completo: “L.A. Woman” (pubblicato nell’aprile ‘71).
Uno dei più
suggestivi passaggi di questo traccia è costituito dall’assolo del tastierista
Ray Manzarek.
Della durata di
circa due minuti, questa significativa escursione strumentale raggiunge la
stessa estensione di quella suonata dal musicista in “Light My Fire” più di
quattro anni prima (qui il link all’articolo dove approfondisco l’assolo
di Manzarek in “Light My Fire”).
Mentre in “Light
My Fire” Manzarek utilizza l’organo elettrico (un Vox Continental), in “Riders
On The Storm” possiamo apprezzare le vibrazioni di un’altra tastiera: il
pianoforte elettrico (un Fender Rhodes Piano).
All’alba degli
anni ’70 questa evoluzione del pianoforte classico era uno strumento impiegato
da almeno venti anni in differenti contesti musicali, sebbene la sua diffusione
di massa fosse ancora relativamente recente.
Immesso sul
mercato nel contesto della prima ondata di strumenti elettrificati (fine
anni’30 del ‘900) esso fu portato all’attenzione di un vasto pubblico dal brano
“What I’d Say” di Ray Charles (1959) e definitivamente incluso nella musica di
massa dai Beatles (da “The Night Before“ del 1965 a “Get Back” del 1970).
Il suono del
pianoforte elettrico smussa i contorni netti del pianoforte tradizionale,
rendendone più pastoso e pervasivo l’impatto sonoro.
Inoltre, il
pianoforte elettrico è in grado di sprigionare sfumature sonore più ricche e persistenti
rispetto a quello acustico, le quali si propagano a lungo grazie al loro
inflessione dolcemente metallica, allo stesso tempo arrotondata e intensa.
Manzarek impiega
le potenzialità di questa tastiera concependo un assolo dal marcato profilo
jazz, inconfondibile nel ricordare vividamente gli stili Hard Bop e Jazz Soul
(riconducibili rispettivamente al periodo 1952-’66 e 1958-’68).
Questo viaggio
solistico inizia al min. 2.43 della composizione, per terminare al min. 4.30,
occupando poco meno di un terzo del suo minutaggio complessivo, e si divide in
tre parti chiaramente distinguibili.
La prima sezione
(dal min. 2.43 al min. 3.18) adotta un approccio sfumato e soffice, nel quale
emergono tratti melodici al contemporaneamente tenui ed interessanti.
Essi sono accennati
lievemente, succedendosi in un linguaggio che valorizza efficacemente i silenzi
sospesi come elementi integrali al fraseggio stesso.
Questo primo
segmento è chiuso da una deliziosa figura (al min. 3.14), la cui dolce
espressività profuma di vago mistero.
La seconda parte
dell’assolo (dal min. 3.19 al min. 4.23) si muove in una atmosfera dinamica e decisa,
imprimendo così una temporanea svolta al feeling oscuramente magnetico della
canzone.
Il pattern qui
costruito battuta dopo battuta da Manzarek riecheggia l’enfasi ritmico-melodica
tipica del Jazz Soul, spingendo su accenti vivacemente contrassegnati e
disegnando frasi ingegnosamente trascinanti e coinvolgenti.
Questo risultato
è ottenuto anche grazie alla transizione da singole note ad accordi che il
tastierista opera a partire dal min. 3.38, addensando e irrobustendo ulteriormente
il suono del pianoforte elettrico fino a conferire un aspetto quasi percussivo
all’assolo stesso.
La terza ed
ultima sezione di questo viaggio nella parte solistica di Manzarek è anche la
più breve (dal min. 4.24 al min. 4.30).
Qui viene ripresa
la enigmatica e sognante linea discendente già presente nell’introduzione della
canzone (al min. 0.29). Una conclusione perfetta, la quale scorre con onirica rapidità
sulla tastiera, scendendo progressivamente verso le note gravi come il risveglio
da un sogno intriso di colori stravaganti e irreali.
Esulando dallo
straordinario assolo appena descritto, anche l’accompagnamento ritmico profuso
dal pianoforte elettrico nel resto del brano è improntato agli stessi stilemi
jazz validi per la parte solista.
Avvicinandosi
alla tecnica detta “comping”, tipica del pianoforte Hard Bop, il tastierista
introduce un retrogusto jazz anche nel suo ruolo di strumento ritmico.
In alcune fasi del
sottofondo tracciato dal piano elettrico lungo questa canzone (al di là quindi
dell’assolo), i suoi oscillanti accordi sono morbidamente ondulati dalla
funzione “vibrato” del Fender Rhodes Piano, corrispondente però alla
distorsione abitualmente conosciuta come “tremolo”.
Ciò accade anche agli
accordi che seguono, come campane funebri all’imbrunire, la fine dell’assolo (dal
min. 4.30 al min. 4.39) e che conducono alla ripresa della strofa successiva.
Con il suo raffinato e incisivo assolo in “Riders On The Storm”, Manzarek pone un epitaffio sonoro sulla
storia dei Doors, una epigrafe fatta di note
memorabili, rivestite di appassionata eleganza e risuonanti di sinuosa tristezza.
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